Liliana Adamo per InNatura del 16 Febbraio 2021
A Stromboli, il vulcano è chiamato “Iddu”. La sua presenza minacciosa e magnetica rende l’isola una delle più affascinanti del Mediterraneo, microcosmo unico e abitato da pochi temerari.
Immaginifico, parola diretta e asciutta che cela indizi legati al magico e all’occulto. Tralasciando l’enfasi, definiremmo immaginifica la più estrema delle isole mediterranee? A nord della Sicilia, nell’anello di fuoco delle sette sorelle eoliane, un perfetto triangolo isoscele si staglia dal mare blu zaffiro. Stromboli o Strongylē, l’antico faro i cui bagliori notturni guidavano i navigatori, conta un’altezza di tremila metri, novecentoventisei sono emersi, il resto è rimasto sott’acqua.
La doppia natura di un eden solare contrapposto alla furia del suo vulcano, si ravvisa percorrendo poco più di dodici chilometri quadrati. Fra rocce laviche, spiagge nere, degassamenti e boati, i villaggi di Scari, Ficogrande, Piscità e Ginostra, quest’ultima raggiungibile solo via mare, formano un microcosmo unico per caratteristiche geofisiche nonché ascetiche, ragion per cui Iddu (Lui, in siciliano), è pressochè adorato dagli ultimi temerari che lo abitano. Dunque, sì, Stromboli è l’isola immaginifica per eccellenza, in grado d’affascinare il più irriducibile dei viaggiatori.
Eidolopoiós.
In un susseguirsi di cubi bianchi con bagghiu e cannizzi sfrecciano piccoli taxi elettrici, il solo mezzo di trasporto consentito. Bandita l’illuminazione pubblica, di sera bastano una torcia e le stelle. A Scari, sulla bellissima spiaggia che arriva alla Forgia Vecchia, occupata per metà dalle barche o sui bisoli intorno al molo ricoperti di polvere vulcanica, si radunano gli ultimi pescatori detti i vichinghi per le lunghe chiome bionde e le barbe folte. Nessuno si adatta a portare scarpe o sandali e per un’eccentrica, ibrida congettura, i loro tratti somatici richiamano gli eroi della mitologia classica.
L’intreccio con la tradizione ellenica è tutto incentrato su un patrimonio di valori e narrazioni favolose. Già il nome, Eolie, ha in sé la magia del mito: Eolo ebbe da Zeus il compito di dirigere o liberare i venti, custodendoli nelle grotte o dentro un otre a Lipari. I versi dell’omerica Odissea spingono Ulisse su queste isole dove il dio Eolo ospita l’eroe, reduce dalla guerra di Troia. Commosso dal suo racconto gli fa dono dell’otre in cui sono racchiusi i venti contrari alla navigazione. La slealtà dei suoi compagni fa sì che una volta aperto l’otre in cerca di tesori, i venti scatenino una terribile tempesta affondando l’intera flotta tranne una sola imbarcazione, quella di Ulisse.
Stromboli è menzionata negli scritti di Aristotele, Diadoro Siculo, Silio Italico, Lucilio, Plinio il Vecchio. Strabone, geografo greco, decantò le acque calde e i soffi di fuoco di Lipari, mentre descrisse Vulcano come l’isola di fiamma con i suoi aliti provenienti da tre crateri.
La Sciara del Fuoco.
Sciara è una voce siciliana semanticamente sovrapposta all’arabo: ša῾ra, vuol dire all’incirca, terreno sterile, incolto. Da un’ulteriore interferenza latina, fiara, appunto lava incandescente, fiamma, ecco coniato l’appellativo per la mirabolante depressione sul fianco settentrionale dello Stromboli, fortemente instabile sotto il carico di pietre incandescenti che dai crateri rotolano fino al mare. la Sciara del Fuoco risale a cinquemila anni fa, la sua dorsale poggia sui fondali del vulcano, inabissandosi rapidamente per poi risalire con due picchi di venticinque e trentacinque metri. Le rocce laviche nel blu profondo forgiano l’habitat per stelle marine dette pentagono, una specie rara somigliante a spugne coloratissime.
Su un territorio di lava e tufo, materia piroclastica, ceneri e scorie non mancano piante singolari ed endemiche: le arbustive granata cupicola, il citiso delle Eolie, la ginestra di Gasparrini o essenze erbacee come la violacciocca rossa. A Piscità, risalendo la mulattiera per l’Osservatorio, nei pressi di Punta Labronzo, c’è un immenso canneto, una graminacea introdotta dai contadini per essere utilizzata come frangivento per le vigne. Con il declino dell’agricoltura, il Saccharum aegyptiacum (canna d’Egitto), ha colonizzato i vecchi terrazzamenti arrampicandosi fino a trecentocinquanta metri lungo le pendici. E qui, non è inusuale vedere in volo il gheppio, il Falco della Regina e altri uccelli più piccoli, l’occhiotto, la calandrella, la passera sarda, il culbianco, la monachella.
Dagli apparati dello Stromboli, tre o quattro crateri in attività che possono aumentare fino a sette o addirittura a dieci, il magma fluido, rosseggiante si solleva e si abbassa, si gonfia fino a squarciarsi con forti esplosioni che lo lanciano in alto trasformandolo in brandelli infuocati. Un gioco pirotecnico si alterna da diversi condotti, erompe talora frequentissimo, continuo, altre volte con pause di un’ora o più di riposo, ricadendo intorno alle bocche eruttive o confluendo sulla Sciara, sedimentandosi in mare.
E’ una sequenza tipica dell’attività detta stromboliana che ha, in effetti, un’azione costruttiva. I prodotti eruttivi si accumulano sulla terrazza vulcanica, chiudono piccoli crateri, creano altri coni di notevoli dimensioni. Tutto si muove: la montagna, la conformazione delle spiagge e della costa, l’intera morfologia dell’isola è sottoposta a un movimento di Terra, Fuoco e Aria.
Instabilità perenne.
La stessa terrazza della Sciara può essere sconquassata e demolita generando tsunami, poichè ad un’attività moderata si sostituiscono esplosioni maggiori e parossismi, può addirittura saltare in aria quando avviene uno scatto, come dicono gli stessi stromboliani, quando cioè si ha un’esplosione di tipo pliniano. La corrente piroclastica del parossismo avvenuto nel luglio 2019, si è spinta a tre chilometri di altezza oltre il margine delle pareti e della cima, riversandosi sui fianchi, in parte sull’abitato, provocando incendi a bassa quota, mettendo a repentaglio la sicurezza delle persone che si trovavano sotto il vulcano.
Prigionieri dell’isola? In fondo l’idea non ci dispiaceva affatto. E ancora una volta il viaggio ci faceva attraversate il cammino di qualcuno che solo in un viaggio si può incontrare. Il vento poteva prendersela calma, per soffiare forte e scoraggiare i marinai di Milazzo. Per ora il nostro tempo era quello dell’isola, di Carmelo e dei battiti impercettibili del cuore del vulcano. Sono uscito di casa. Era un’altra sera. Il cielo era già costellato di stelle. Accanto a me, il vento sollevava la polvere della via. Era passato attraverso i giardini e mi portava un leggero profumo di fiori d’arancio. Giù al villaggio, sulla riva del mare, la risacca era più violenta di ieri. E ora che sapevo, immaginavo ancora i regolari movimenti intervallati del grande orologio sotterraneo, foriero di fuoco e di scintille. Noi eravamo a Stromboli e tutta l’immaginazione e la fantasia erano per la grande massa scura, che già una volta ci aveva trascinati alla deriva nella sua vita di terra. Ci torneremo.
Da “Le chemin de pierre et le chemin de cendre”, di Bernard Amy.
Questi fantasmi.
Citando David Forster Wallace, secondo il quale ogni storia d’amore è una storia di fantasmi, esistono storie e amori che Iddu non lascia andar via. Si pensi alla liaison fra Ingrid Bergman e Roberto Rossellini (era il 1950), nel mentre si girava Stromboli terra di Dio… ma altre storie aleggiano come fantasmi dell’isola. Ugualmente, fattori endogeni possono creare fantasmi: tremori, vibrazioni, scosse telluriche, una strana energia che si propaga e che alcuni riescono ad avvertire. Una volta, racconta Max Cincotta – una signora mi disse: Guardi, non ho dormito tutta la notte. Era come se qualcuno bussasse alla mia camera e poi si nascondesse. Ma io ridendo le risposi: È il rumore del vulcano che fa muovere gli stipiti. Lasci aperte le porte, lo lasci entrare.
A ridosso di una piccola spiaggia cinta ai lati da due blocchi imponenti di rocce nere c’è ancora l’officina che usava per dipingere. Una costruzione di calce grigia chiusa da un chiavistello, una targa affissa all’uscio. La spiaggia è quella di Scalo Balordi, dove una volta le donne lasciavano i bambini giocare all’ombra nei pomeriggi più assolati e quel laboratorio, fucina di tempere e colori, era la casa di Jurgen Wegner.
A Scalo Balordi, lo Strombolicchio risalta come un dipinto di Magritte. Sulla linea dell’orizzonte il nek vulcanico resta distaccato, estraneo alla memoria storica dell’isola, ai suoi fantasmi.
Wegner è molto giovane quando lascia la Germania; insieme alla moglie, nota gallerista d’arte, si trasferisce a Stromboli, ossessionato da un luogo visto solo attraverso una foto scattata da un amico. Comincia a dipingere tutto ciò di cui è ispirato, vive quasi sempre a Scalo Balordi, baratta i suoi quadri per una cena al ristorante. E’ uno spirito libero, bello ed estroverso, l’affabilità dei modi e del suo sorriso conquistano chiunque. Jurgen è un esperto del mare intorno al vulcano, una profonda conoscenza che non gli impedisce di prendere un surf, cavalcare le onde in tempesta per non tornare più a riva. Il suo corpo ancora legato alla tavola, si ritroverà al largo di Panarea dopo due giorni di ricerche. Alcuni dicono che non è stato un incidente, l’artista tedesco ormai cinquantunenne, voleva finirla così, morire a Stromboli, dov’è sepolto.
Il cielo di Stromboli è diverso, scrive Massimo Imbesi in un lungo post, una dichiarazione d’amore per le isole Eolie, per la sua Sicilia. Arriva da Milazzo con un amico, Thiago Takeuti, entrambi escursionisti esperti. Massimo ama il vulcano, lo ha percorso più volte. Il 3 luglio 2019, a Punta Corvo, trecento metri d’altezza su un sentiero che parte da Ginostra, i due sono investiti dall’evento parossistico, da gas e cenere. Massimo cade su uno spuntone lavico, respira a fatica, se ne va fra le braccia di Thiago che cerca inutilmente di praticargli un massaggio cardiaco. Dopo la sua morte, a nessun altro sarà consentito scalare fino ai crateri, un’area considerata troppo pericolosa, con conseguenze imprevedibili.
Fin dalla notte dei tempi, Stromboli, l’isola estrema e immaginifica, ama e conosce i suoi fantasmi, come Jurgen, Massimo e molti altri. Come il bambino di Lazzaro, che si aggira nel villaggio di Ginostra. Appare fra le case, dicendo che si è perso e chiede un bicchier d’acqua; ma quando il suo interlocutore ritorna con l’acqua, il piccolo si dilegua, lasciando conchiglie bagnate a testimonianza della sua presenza. Gli anziani di Ginostra raccontano di questo bambino scomparso a Lazzaro, inghiottito dal mare insieme ad altri coetanei, agli inizi del Novecento.
Le foto sono di Liliana Adamo tranne quella a pag. 52, gentilmente concessa da Chiara Cecconi. Si ringraziano anche gli “Amici dell’isola di Stromboli”, Cornelius von Berenberg-Gossler ed Eugenio Vodini (Caronte) per le preziose informazioni e i dettagli forniti dall’autrice del testo.